Aspettative e desideri della “Generazione Perduta”. Che insieme ad un contratto stabile sogna un lavoro stimolante e flessibile, vede il cambiamento come opportunità e boccia l’organizzazione della maggioranza delle imprese italiane: “sono fuori dal tempo”. 

Quando parliamo di Metamorfosi, non possiamo non partire dal lavoro. Fonte di gioia, preoccupazione, elemento fondamentale nella costruzione delle identità personali; argomento quotidiano delle cronache, talvolta banalizzato, spesso prigioniero di numeri e diatribe politiche. E allora, come cambia l’approccio al lavoro delle nuove generazioni? Quali sono le aspettative, i sogni e i desideri che esprimono i ragazzi nelle scuole e nelle università italiane?

OLTRE LE CRONACHE E GLI STEREOTIPI.
Devo ammettere che, benché sia un tema che mi sta molto a cuore, l’idea di andare a parlare di occupazione, professioni e sogni di carriera con la generazione più «disoccupata» degli ultimi decenni all’inizio mi ha un po’ preoccupato. Quanto sarebbe stato scoraggiante ascoltare file di laureandi senza speranze, se non quello di scappare all’estero, molto angosciati di quello che sarebbe stato di loro da lì a pochi mesi?
Mi sbagliavo di grosso. Ho intervistato giovani tra i 20 e i 28 anni, alcune matricole, alcuni prossimi alla laurea, altri già entrati nel mondo del lavoro, e ho scoperto che non sono i Millennials quelli preoccupati per il loro futuro. Abbiamo parlato con quarantenni delusi, dubbiosi sul loro futuro, con Baby Boomers indignati sia dalla situazione del mercato del lavoro, sia dai giovani stessi, colpevoli di non far sentire abbastanza la loro voce.

E poi abbiamo ascoltato Millennials pieni di aspettative, che non hanno alcuna intenzione di ridurre. Probabilmente è proprio come predica Simon Sinek: sono cresciuti sentendosi dire che avrebbero avuto molto e quindi ora se lo aspettano. Quello che vogliono, però, non è il posto fisso per tutta la vita, non è il potere che ti dà un avanzamento di carriera, non è la tranquillità di sapere che domani sarai ancora lì, con grande stupore di chi di anni ne ha qualcuno in più di loro. I Millennials insomma, non combattono per “diritti” che ai loro occhi non sono più attrattivi, non sono coinvolti dalla politica, perché promette qualcosa che – almeno adesso –  non vogliono.
In linea con quanto profetizzò uno dei primi articoli su questa generazione “ME ME ME Generation”, apparso sul Time nel 2013,  i Millennials si vogliono molto bene e di conseguenza, quello che vorrebbero – per tutta la vita e anche nel lavoro – è essere felici.

FELICITÀ È LASCIARE IL SEGNO.
Quando ho chiesto loro che cosa si aspettassero dal loro lavoro ho sentito quasi sempre la stessa risposta “mi deve rendere felice”. La felicità, è sentirsi valorizzati e coinvolti in un progetto più grande che non sia il raggiungimento di un obiettivo giornaliero o settimanale. Narcisi come sono stati descritti, i Millennials  – consci di essere la generazione più acculturata della storia – vogliono contare, non per un desiderio di controllo e potere, ma per sentirsi gratificati per aver espresso sé stessi in ciò che fanno, per aver lasciato il segno.

L’espressione delle proprie capacità e ancora di più della propria personalità, del proprio modo di vedere le cose e farle è così importante che – anche in un momento incerto come questo- moltissimi di loro non vedono l’ora di aprire un’impresa tutta per sé. Altro che rivoluzioni e movimenti di piazza, la soluzione è crearsi il proprio piccolo orto da coltivare e far crescere secondo i propri desideri e criteri! Lo spettro dietro l’angolo, subito svoltando dopo la laurea è la noia, la scrivania, la routine. E’ questo che molti di loro mettono al primo posto fra le paure. Temono la noia perché ingrigisce, fa perdere entusiasmo e finisce che ti auto-elimini da solo dal gioco, perché non dai il meglio di te. I ragazzi hanno le idee piuttosto chiare su come dovrebbe essere riorganizzato il lavoro, reputando la grande maggioranza delle aziende italiane fuori tempo e improntate ad una gestione del lavoratore simil fordista.

QUANDO L’INFEDELTÀ DIVENTA UN VALORE. Intendiamoci: i ragazzi chiedono un contratto stabile a cui ancorare le proprie aspirazioni. Ma subito dopo l”urgenza è l’abolizione dell’orario fisso, colpevole di uccidere ogni entusiasmo anche nei più motivati e brillanti lavoratori: il lavoro è autogestito, ed è responsabilità di chi lo svolge portarlo a termine nei tempi stabiliti. Al secondo posto c’è da seppellire l’idea che l’ultimo arrivato debba solo ascoltare, muoversi fra le scrivanie seminando fotocopie o verbalizzare riunioni infinite senza proferire parola. E non è un caso, forse, che nel loro futuro intravedano la scelta di cambiare datore di lavoro ogni tanto: la vita è esperienza, è sfida, è la continua ricerca di nuovi stimoli. I Millennials non vogliono una vita tranquilla, se questo significa annoiarsi.

di Elena Amistà